Nelle ricerche sull’afasia, la tentazione di smontare l’unità funzionale del “comunicare”, dove il “declinarsi” reciproco degli interlocutori raggiunge la sua massima evidenza, sembra irresistibile.
L’afasico però non adopera “pezzi” smontati del suo normale comunicare, bensì una nuova “totalità” funzionale, anche se ridotta.
Il pronunciare una parola su ripetizione , su lettura, su immagine, pronunciarla in una serie numerale non è comunicare.
Senza dubbio il comunicare come ogni gesto finalistico , implica una progettualità con una propria spazio-temporalità e con un proprio orientamento spazio-temporale.
Implica cioè un ordinarsi coerente del soggetto al complemento, attraverso il predicato. Implicazione che possiamo cogliere anche nella coniugazione di un tempo verbale o nel numerare alla rovescia.
Ciò sembra poter spiegare sufficientemente il netto scarto di rendimento che si osserva molto spesso fra la parola ripetuta o letta o su immagine , o nella serie numerale normale e quella nella serie numerale rovesciata e nella coniugazione.
Soprattutto nel confronto fra serie numerale normale e serie numerale rovesciata si potrebbe dire che mentre il patrimonio verbale è uguale , è proprio il momento della agibilità prospettica del tutto che distingue nettamente l’agibilità del gesto verbale in quanto agibilità fondata sull’uso contestuale e non sulla sola struttura propria del gesto.
Di fronte all’afasico spesso il nostro atteggiamento spontaneo è quello di farlo parlare col ricorso a stimolazioni che facilitino il gesto fonetico-articolatorio: parola ripetuta, parola letta, parola su immagine; ma questo non è ancora parlare, perché si tratta di una parola senza “contesto”.
Il parlare non può essere che comunicazione ed informazione; e queste dimensioni non possono in alcun modo essere trascurate in afasiologia. Il malato in effetti ci chiede questo linguaggio e non il recupero della parola ripetuta o letta ecc.
Mi sembra ovvio che nel linguaggio spontaneo: nella frase, nel periodo, il problema della spazialità agibile, come spazialità logico-discorsiva è più che mai presente e, per tale motivo può essere di particolare interesse una sua possibile semiologia. Il test dei “bastoncini” ha, almeno nelle nostre intenzioni, un tale scopo.
Tratto da “La parola come gesto: la sua spazialità” L.Longhi, L.Gomato et al. – Neuriabilitazione dell’Emiplegico. Aspetti teorici e pratici- Ed. Ermes Medica 1981