Tratto da un’art. di U. Galimberti “ L’invenzione dell’anima” Repubblica 5/03/2005 e liberamente modif. da Lidia Gomato
Il nostro corpo vivo, impegnato nell’esistenza, non è l’organismo che la scienza, per sue esigenze metodologiche descrive, eppure sempre più ci andiamo identificando con esso.
L’organismo non è infatti, lo sguardo che vede qualcosa per me, o il braccio che si protende per afferrare qualcosa per me, ma sono io questo sguardo che ispeziona, così come sono io questo braccio che afferra.
L’io non si distingue dal corpo, non dispiega un’esistenza in cui il corpo compare come uno strumento. Io sono davanti al Mondo, non davanti al mio corpo, per questo si dicono “alienati” coloro che vivono il corpo come “altro” da sé, come qualcosa del mondo, da cui l’io è diviso.
Il piacere non può mai essere, localizzato, delimitato ad un punto del mio corpo. Il piacere infatti, coinvolge l’esistenza nella sua totalità e la rende piacevole. Non è solo il mio corpo che sente, ma sono io che coincido pienamente con la sua sensazione, perché pienamente al mio corpo mi sono concesso. Il piacere di un bacio non è qualcosa che registra la mia mucosa, ma qualcosa che invade il mio essere. Il “bacio” quindi, come tutti i nostri gesti, chiama il mio corpo ad un ordine di significati che prima di quel gesto erano insospettati.
Se il corpo non è prima di tutto un campo di gioco di forze biologiche, ma un’originaria apertura al mondo, il modo in cui l’esistenza vive il proprio corpo rivela il modo in cui vive il mondo. Finché non ci libereremo di questa mentalità dualistica, che accanto al “corpo”, ridotto a pura materia organica, colloca la “mente” (ex-anima) vivremo, separati dal nostro corpo, un’esistenza mancata. Il corpo è un significante, un nucleo di significazione che non rinvia ad una cripticita’ psichica. La medicina ha una grande responsabilità rispetto al perdurare di questa alienazione, perché al “Leib”, cioè al corpo vissuto (termine usato per la prima volta da Husserl, padre fondatore della fenomenologia) possa essere, finalmente restituita la sua vera identità, non più reificata o peggio scissa dal “Korper”, ossia dal corpo anatomico.