LA PAROLA “SENSORIALE” E LA PAROLA “RELAZIONALE”

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Tratto da  SPECIALE NEUROSCIENZE di V. Gallese, sul linguaggio: la parola” “sensoriale” e la parola “relazionale” e  liberamente modificato da Lidia Gomato

Dalle ricerche sul cervello delle moderne Neuroscienze “incarnate” o Embodied Cognition si evince che le stesse aree che si attivano in compiti linguistici si attivano anche in compiti sensori-motori che non hanno nulla di intrinsecamente linguistico. Ciò fa pensare che il senso che la parola vuole esprimere abbia in qualche modo delle radici senso-motorie. Tali studi stanno attualmente cercando di comprendere sempre meglio qual è il legame tra l’uso astratto del linguaggio e la corporeita’.

La Embodied Cognition condivide il paradigma fenomenologico del linguaggio come gesto e cerca di spiegare, sia in termini filogenetici, sia in termini concreti, come funziona il linguaggio come noi lo esprimiamo oggi. Il linguaggio nell’ottica fenomenologica è sin dall’origine relazionale, Revezs ha parlato nell’ambito dello studio dello sviluppo del linguaggio, di uno stadio primitivo di “vocalizzazione di contatto” il cui significato è quello di “qualcuno è qui” e di un secondo stadio di “vocalizzazione di richiamo” il cui significato è “io sono qui per te”.

Il linguaggio umano è il sistema di comunicazione più sofisticato perché permea e riconfigura tutta la nostra esperienza, esso parte da una dimensione pre-verbale per arrivare ad una dimensione linguistica, sia in senso filogenetico evolutivo, sia nello sviluppo del singolo individuo, cioè in senso ontogenetico. Una volta acquisita la parola entriamo nel mondo dell’uso del linguaggio e questo retroagisce riconfigurando e modulando anche tutta la dimensione pre-verbale, quindi il pre-verbale di un umano non è in tutto e per tutto paragonabile a quello di un animale  pre-verbale che non ha mai sviluppato il linguaggio.

 

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L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani

l'istinto di narrare

art. di Paolo Gervasi (“L’animale che racconta storie” http://www.doppiozero.com) liberamente modif. da Lidia Gomato

Nel suo libro L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno reso umani (Bollati Boringhieri 2014) Jonathan Gottschall esplora l’intuizione che l’attività umana di significazione possa aprire un ambiente virtuale dentro l’ambiente fisico, definendo la narrazione come un vero e proprio habitat, una nicchia ecologica ideale per lo sviluppo della specie umana. Ci sarebbe un livello di contiguità e interconnessione che l’azione della specie umana sul mondo ha stabilito tra natura e cultura, tra ambiente fisico e ambiente antropologico. In questo spazio ibrido, in questa sovrapposizione tra il dominio simbolico e quello percettivo, la fissazione, il consolidamento e la conservazione dei gruppi umani è il risultato combinato della trasmissione tanto dell’informazione genetica, che avviene attraverso la riproduzione biologica, quanto dell’informazione non genetica, che avviene attraverso la riproduzione e il potenziamento delle forme culturali. L’indagine di Gottschall parte da una domanda semplice: da cosa dipende la straripante pervasività sociale, culturale, antropologica della narrazione, costante culturale che si manifesta identica nel tempo e nello spazio? Perché gli esseri umani sono così irresistibilmente attratti dalle storie? Gottschall formula l’idea radicale che la capacità di inventare e raccontare storie abbia rappresentato per la specie umana un vantaggio evolutivo decisivo, uno dei tratti che l’hanno definita rispetto agli altri esseri viventi. Le storie, anche quelle notturne che imbastiamo attraverso i sogni, sono sempre una forma di allenamento mentale, un laboratorio di costruzione dell’intelligenza emozionale e relazionale. Come già le ricerche di ispirazione strutturalista hanno dimostrato, l’intera galassia delle storie può essere ricondotta a una grammatica universale imperniata sull’emergenza di un problema, che arriva a rompere un equilibrio iniziale, e che muove gli eventi attraverso l’energia impiegata per la sua risoluzione.“La finzione narrativa”, scrive Gottschall, “è un’arcaica tecnologia virtuale specializzata nella simulazione di problemi umani.” Allestendo mondi possibili nei quali si dispiegano tutti i grandi conflitti esistenziali, tutti i nodi e le possibilità fondamentali della vita umana (l’amore, la morte, la guerra, il dolore, la paura, il potere, ecc.), le narrazioni diventano un luogo di incubazione delle competenze cognitive essenziali, acquisite senza affrontare direttamente i pericoli che tali esperienze comportano. Le storie sono simulatori dell’esistenza che consentono agli individui di esercitarsi a vivere. E la mente è un dispositivo programmato per processare storie, e allo stesso tempo costruito perché le storie possano modellarlo.

 

Il metodo fenomenologico applicato allo studio del linguaggio e della coscienza

M. Merleau-Ponty 2

La fenomenologia ha inizio nei primi del Novecento con i filosofi F. Brentano ed E. Husserl, ha come proposito di rifondare il sapere filosofico come sapere “scientifico rigoroso” partendo dall’ analisi dell’esperienza e del linguaggio con cui la descriviamo. C’è una relazione inscindibile tra il soggetto (agente) e il Mondo, sono entrambi compresi in ’“atti intenzionali” dotati di senso, l’intero mondo naturale altro non è che un correlato della coscienza. Per uscire dall’ ”atteggiamento naturale” della scienza epistemologica tradizionale, che ha come obiettivo di studiare il “dato”, cioè l’”oggetto” senza il soggetto, Husserl ha ideato il metodo della “riduzione fenomenologica” o “epoché”, con la quale l’”oggetto” viene messo “tra parentisi” per poter aprire l’accesso alle operazioni costituenti la coscienza. Lo studio della percezione è il modello che Husserl ha scelto per l’analisi fenomenologica della coscienza . Per Husserl già ai livelli più elementari della vita della coscienza è presente il riferimento al mondo (prospettiva genetica), non solo nella costituzione degli oggetti; l’ideale dell’oggettività scientifica si contrappone così alla soggettività del “mondo dell’esperienza che sta alla base del vivere umano e che è detto “mondo della vita” (Lebenswelt), la fenomenologia quindi può essere considerata “scienza dell’esperienza”.

Un ulteriore sviluppo della fenomenologia si è avuto con M. Merleau-Ponty, che ha recepito il metodo fenomenologico di Husserl e gli spunti dell’analisi heideggeriana dell’esistenza, e che ha dato alla fenomenologia una svolta “esistenziale”(fenomenologia esistenziale). Merleau-Ponty ritiene che non è importante come si costituisce la coscienza, il sapere, come nella posizione di Husserl (fenomenologia trascendentale), ma piuttosto come si arriva alla cognizione dell’esistenza “situata nel mondo”, in cui l’uomo è impegnato nel “fare” dell’esistenza, che è, sì, coscienza, ma anche corporeità. La percezione, il movimento e l’ambiente sono gli elementi costituitivi del comportamento, anche quello linguistico, scopo della fenomenologia per quanto riguarda lo studio del linguaggio, è quello di mettere “tra parentisi “ (riduzione fenomenologica) i “contenuti” del linguaggio, cioè l’aspetto più “ovvio”, per individuare le “strutture del comportamento” sottostanti la comunicazione verbale.

L’approccio fenomenologico e le scienze cognitive

Recentemente alcuni autori hanno evidenziato la necessità di un’approccio fenomenologico alla cognizione, per prendere in considerazione l’esperienza soggettiva dell’ “uomo nel mondo”, da sempre esclusa dai neuroscienziati negli studi neuronali della mente. La fenomenologia si presenta come un “ripensamento esemplare” del tradizionale modo di concepire la conoscenza umana, rappresentazione dell’oggetto nella mente inerte del soggetto. Il soggetto conoscitivo è dotato di una sua peculiarità e identità, il suo “sguardo non è in nessun luogo”, è “situato”; la conoscenza non è rappresentazione mentale del mondo esterno ma “coesistenza” di oggetto-soggetto.

1.Gallagher, Zavi, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, Raffaello Cortina Editore 2009

  1. F. J Varela, Un rimedio metodologico al “problema difficile”, in Neurofenomenologia. La scienza della mente e la sfida dell’esperienza cosciente, Massimiliano Cappuccio (a cura di), Bruno Mondadori 2006