“Qualunque cosa la mente umana si trovi a dover comprendere, l’ordine ne è l’indispensabile condizione” (R. Arnheim)
Per Rudolf Arnheim, fondatore della psicologia dell’arte, l’ordine è una condizione necessaria per far funzionare una struttura, è il presupposto della sopravvivenza e pertanto l’impulso a produrre disposizioni ordinate è innato in forza dell’evoluzione. Anche la mente umana sembra pervasa da un impulso intrinseco all’ordine: impulso che trova applicazione, nella maggior parte dei casi in ottimi motivi pratici. Sono i sensi prima di tutto, a cogliere l’ordine. L’osservatore percepisce nelle forme, nei colori, nei suoni dinanzi a cui si trova una struttura organizzata. Ma è arduo, e forse impossibile, trovare esempi nei quali l’ordine di un oggetto o di un evento dato si limiti a quanto la percezione manifesta direttamente. Piuttosto, l’ordine percepibile tende ad evidenziarsi ed a venir compreso come riflesso di un ordine che lo sottende, sia esso fisico, sociale o conoscitivo. E’ evidente che l’ordine trova una lettura immediata attraverso i sensi, quindi il fattore fisico o meglio neurologico inizialmente e poi sensitivo agisce sulla lettura dell’ordine come primo impulso cognitivo. Nell’ambito percettivo l’ordine viene letto come impulso razionale, cioè nel coinvolgimento del sensibile, in cui la funzionalità del senso è richiamata da un riconoscimento di un aspetto d’ordine, trova nel lato percettivo, il punto di riferimento su cui l’ordine viene catturato. E’ attraverso questa struttura che anche la percezione diventa in un certo modo la sonda che permette di cercare ed individuare l’ordine, coinvolgendo tutti gli aspetti sensibili. Poiché l’ordine esteriore rappresenta tanto spesso quello interno e funzionale, la forma ordinata non va valutata per sé stessa, separandola, cioè dal suo rapporto con l’organizzazione il cui significato essa incarna. Quando manchi la corrispondenza tra ordine interno e quello esterno, si produce un urto fra di essi, vale a dire s’introduce un elemento di disordine.
Le teorie della complessità, come correttamente coglie il problema Arnheim, sono quelle che mostrano non solo il dissolvimento dell’ordine nel disordine, ma anche come “il caos si volge in ordine”. Non è facile riassumere in poche parole il concetto di complessità in quanto esso rappresenta più un nuovo di modo di pensare che una branca scientifica compiuta. L’approccio della psicologia della Gestalt, della fenomenologia e delle teorie della complessità si può definire, in prima approssimazione, di tipo “olista”. L’ottica della complessità esprime un diverso atteggiamento scientifico, che si libera «dalla convinzione di fondo che il mondo microscopico sia semplice e governato da leggi matematiche. È proprio la “semplicità” e la prevedibilità delle interazioni fra le parti che viene messa in discussione dalle teorie della complessità.
Cos’è un sistema complesso? È un sistema composto da molte parti differenziate, organizzate gerarchicamente (un esempio è il corpo umano), fra le quali intercorre una fitta rete di relazioni “non-lineari”. La “non-linearità” è l’aspetto fondamentale che rende il sistema non uguale alla semplice somma delle parti di cui è costituito. I. Prigogine ha evidenziato come la non-linearità sia caratteristica dei sistemi instabili, cioè sistemi lontani dallo stato di equilibrio. Nei sistemi instabili si generano “fluttuazioni” che innescano risonanze e correlazioni fra le parti su distanze macroscopiche: tali risonanze conducono a comportamenti collettivi che producono nuove strutture. Le interazioni fra le parti del sistema e quelle con il contesto, trascurabili in sistemi stabili o quasi stabili, diventano fondamentali per descrivere la dinamica di un sistema lontano dall’equilibrio. Quindi, laddove un sistema stabile può essere considerato come descrivibile dalla dinamica delle parti di cui è costituito, l’emergere di comportamenti collettivi in sistemi lontani dall’equilibrio segna il comparire di nuove proprietà del sistema. In psicologia, anche gli individui possono essere considerati dei sistemi lontani dall’equilibrio e intrinsecamente complessi. Tuttavia, in condizioni di equilibrio, le persone e le organizzazioni sociali si possono anche considerare come sistemi dotati di stabilità. Il passaggio da una visione riduzionista ad un approccio complesso include, poi, un diverso atteggiamento nei confronti della vita: la possibilità di vedere in essa non solo meccanicità e tendenza al disordine, ma anche un’intrinseca capacità di creare ordine. Contrariamente al riduzionismo, le teorie della complessità evidenziano, pertanto, il ruolo costruttivo della natura.
Lidia Gomato
“Entropia e arte” R. Arnheim- Ed. Einaudi 1974
“La sfida della complessità” Bocchi, G. & Ceruti, M. Ed. Feltrinelli 1985