tratto dall’art. di L.Longhi, L.Gomato, F.M Pisarri – Rivista “Riabilitazione e apprendimento” Liviana Editrice anno10, n°1, 1990
La neuroriabilitazione rappresenta un campo di estremo interesse non soltanto pratico, ma anche perché essa pone all’operatore dei problemi teoretici di notevole interesse e importanza. Essa non può che fondarsi sulla neurofisiologia e sulla neurofisiopatologia, e tutto ciò nell’ottica più moderna, perché non concerne soltanto il recupero della motricità segmentale bensì il recupero, da parte del soggetto, del ri-abitare il mondo, sia esso familiare che sociale. Una corretta fondazione scientifica della neuroriabilitazione implica un’ottica antropologica, perché il problema di fondo è quello dell’”uomo-in-situazione”, del soggetto che vive, che agisce nel mondo.
Ogni programma riabilitativo quindi, dovrebbe partire dall’uomo in quanto “corpo” inteso non soltanto come corpo anatomico, ma come “corporeità disponobile” (verfugbarer Leib secondo Buytendijk), un “corpo”che può essere visto anche in senso gestaltico, come il “campo” o lo “sfondo” sul quale si manifestano gli atti esistentivi che incarnano, costituiscono l’affaccendamento esistenziale. In tal senso, ogni movimento eseguito dal cerebroleso è ancora un atto esistentivo e cioè un “gesto”. Il sintomo neurologico e/o neuropsicologico pertanto, va letto in una tale prospettiva; nell’agire terapeutico vanno impostati: il progetto, la strategia e l’esercizio neuriabilitativo, da quello per il recupero di una motricità segmentale a quello per il recupero di una motricità prassica o verbo-fasica e quindi della parola.