Corso E.C.M 18 – 19 marzo 2017 Approccio neurofenomenologico alla riabilitazione del disturbo afasico secondo l’ipotesi del Prof. L. Longhi ed il moderno orientamento della scienza cognitiva “incarnata” (o Embodied Cognition)

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LAMBERTO LONGHI, UN INTERPRETE DELLA MODERNA NEUROPSICOLOGIA

foto Longhi

Per la ricchezza degli argomenti trattati e per l’attualità del contributo di Lamberto Longhi alla Riabilitazione Neuropsicologia, in linea con le più moderne ricerche legate alla teoria del gesto (M.Tomasello, M.C. Corballis, T.W Decaon, V. Gallese) e dell’evoluzione umana, ho deciso di pubblicare sul mio blog alcuni stralci delle lezioni da lui svolte all’Ospedale San Giovanni Battista (S.M.O.M) di Roma, tra l’anno1982 e il 1985, precedenti alla sua pubblicazione “Afasia” (Trattato di Neurologia Riabilitativa Ed. Marrapese 1985).

Il linguaggio è esclusivo dell’uomo, siamo noi la specie simbolica ed è diverso dalla comunicazione, che è propria di tutte le forme viventi. E’ esclusivo dell’uomo, perché unico; si è venuta costruendo in lui una mente capace di rappresentazione simbolica. (T.W Decaon “La specie simbolica”)

 L’AFASIA COME DISTURBO DELLA “FUNZIONE DI SIGNIFICARE”, APPROCCIO NEUROPSICOLOGICO VERSIONE ANTROPOLOGICA

Tratto da una lezione di L. Longhi del 1982

Lidia Gomato

Per quanto riguarda il quadro clinico dell’afasia, io sto terminando un tentativo, un’ipotesi di classificazione però, nel pensare a questo, vengono fuori delle idee che vanno tenute presenti. Se vedete sul libro di Neuropsicologia Clinica di Vignolo, De Renzi, Faglioni (1977), ci sono dei piccoli quadri sinottici delle varie forme di afasia e queste sono le loro diagnosi: afasia globale, di Wernicke, di Broca, di conduzione, amnestica, transcorticale motoria, transcorticale sensoriale. Loro hanno preso poi i seguenti parametri: espressione spontanea, ripetizione, denominazione, comprensione, scrittura, lettura, e hanno rilevato se c’era anche la presenza di anosognosia, aprassia ideatoria, emiplegia destra o sinistra. Se voi vedete le due forme fondamentali: afasici globali e di Wernicke, vedete che non solo ci sono disturbi dell’attività simbolica del linguaggio, ma si accompagnano costantemente a disturbi di tipo aprassico, le altre forme comprendono meno i disturbi aprassici.

Tenendosi alle forme classiche viene l’idea che in fondo l’aspetto afasico sia un aspetto di una sindrome molto più vasta che comprenda anche altre attività simboliche, per cui si potrebbe anche ipotizzare che la sindrome afasica è una manifestazione parziale che può essere isolata, ma che in genere nelle forme classiche, è sempre accompagnata da un disturbo che si può dire genericamente, dell’attività simbolica. L’attività simbolica naturalmente, non si esprime solo nel linguaggio ma anche in altre attività, ciò è fondamentale; se questa ipotesi è accettabile allora l’afasia è la manifestazione, isolata o meno, di un disturbo dell’attività simbolica. Ciò non è una novità perché in fondo si è sempre detto, la differenza della nostra ipotesi sta nel fatto che, mentre nella vecchia impostazione di tipo associazionistico, si faceva un discorso di localizzazione: qui c’è l’afasia perché son lesi i centri dell’afasia , lì c’è l’afasia più l’aprassia perché son lesi i centri dell’afasia e dell’aprassia, cioè erano una somma di disturbi che non avevano una correlazione tra loro, noi invece ammettiamo in ipotesi, che si tratti di un disturbo unico dell’attività simbolica. Siccome l’attività simbolica ha manifestazioni diverse, può avere anche nella patologia manifestazioni diverse, ma sono tutte espressione di un disturbo di fondo che può essere unico, perlomeno può essere unico nel momento in cui tentiamo di darne un’interpretazione fisiopatologica e dobbiamo quindi vedere, direi a monte del disturbo aprassico, così come a monte del disturbo afasico, un disturbo dell’attività simbolica. Se ci si pone in questa posizione il problema diventa quello di dire cosa è questa attività simbolica e poi cercare nelle caratteristiche di questa attività i momenti che possono spiegare i vari disturbi. L’attività simbolica trova nel linguaggio la sua manifestazione più ovvia, direi clamorosa, tanto è vero che anche nella clinica, una sindrome aprassica in genere, non viene neanche cercata, e quando si trova sembra una cosa eccezionale, una scoperta. Ciò è particolare perché il malato anche se non lo dice, lo manifesta, un disturbo del linguaggio lo si vede, si propone da solo all’attenzione, il disturbo aprassico no. In genere anche l’aprassico riesce più o meno bene a portare avanti la sua attività, almeno quello che può fare nell’attività quotidiana: lavarsi, vestirsi ecc.; quando si parla di aprassia dell’abbigliamento sono forme molto rare, poi lì si tratta di un problema diverso, c’è in genere un coinvolgimento molto più ampio. Il malato non denuncia in modo particolare un disturbo aprassico, noi in genere lo troviamo quando proponiamo i giochetti dei tests, quindi vuol dire, in un certo senso, che il disturbo aprassico è un momento che non incide come l’afasia nella vita di relazione; c’è un’attività di logopedia ma non c’è un’attività di aprassoterapia, non si cura l’aprassia, invece è un disturbo simbolico come quello del linguaggio, però ha uno scarso rilievo. Spontaneamente il disturbo aprassico passa inosservato e va ricercato, è utile cercarlo proprio in funzione di questa totalità del disturbo simbolico, piuttosto che vedere tanti aspetti diversi; che cos’è questa attività simbolica? Intanto possiamo dire che è un’attività tipica dell’uomo, al di fuori dell’uomo nessun animale ha un’attività simbolica, tanto che Cassirer ha contraddistinto l’uomo come “homo simbolicus”. E’ un’attività, che così ridotta all’essenziale, è un’attività di ordinamento, di messa in ordine di vari fattori e in fondo quando noi facciamo i nostri giochetti per scoprire un’aprassia, facciamo la stessa cosa, vediamo se il malato riesce ad organizzare ordinando elementi diversi: gli diamo la scatola dei cerini, dei pezzi per costruire una casetta, per vedere come lui organizza tutti questi sistemi, organizzazione che è vista come un’attività coerente ed ordinata. Nel linguaggio questa attività coerente e ordinata è ovvia, ma è talmente complessa che qualche volta si ha l’impressione che non esiste un’attività ordinata e che noi prendiamo dallo scaffale le varie parole e le mettiamo in fila secondo uno schema grammaticale o sintattico che abbiamo imparato, e che non ci sia questo “ gesto” così ampio dentro il quale va cercata la dinamica dell’atto verbale.

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