
“Poiché l’ordine esteriore rappresenta tanto spesso quello interno e funzionale, la forma ordinata non va valutata per se stessa, separandola cioè, dal suo rapporto con l’organizzazione il cui significato essa incarna” (Rudolf Arnheim)
Tratto da una lezione di L.Longhi anno 1983
Quello che noi vediamo in una statua non è che la traccia definitiva di una gestualità enorme, immensa: uno scultore può lavorare intorno ad una statua anche per mesi, noi dovremmo poter vedere tutti i movimenti che lo scultore fa in tutti questi mesi, raccolti in una totalità, in una unità che porta alla statua completa. La statua non è un fatto esterno alla gesticolazione, ma è un’espressione immediata, anche se non è immediata nel tempo di questa gesticolazione; senza gesticolazione non c’è la statua, e la statua è tanto più ricca di momenti espressivi quanto più la situazione che l’ha prodotta è ricca nel suo strutturarsi, nel suo formarsi e questo vale per qualsiasi gesticolazione. Il gesto ha in sé questa possibilità di significare, si mette in rapporto con il tema e diventa simbolico. La stessa cosa è per l’oratore, l’oratore non ha bisogno di uno strumento che gli dia voce e la moduli, già la possiede, quindi l’unica, enorme capacità di significare che non richiede la mediazione dell’utensile evidentemente è proprio la nostra voce. L’afasia è il disturbo di questa capacità di “significare”, però ci si domanda se questo tipo di significare, cioè attraverso l’articolazione fonetica o fonemica, sia un fatto a sé, sia una dote che in un certo momento compare nell’uomo e lo fa animale che parla o sia il termine ultimo di uno sviluppo che comincia con un significare molto più elementare, che è ugualmente un significare. Su questa seconda ipotesi, abbiamo ipotizzato nel “Profilo del disturbo afasico” quattro livelli di sviluppo del gesto: quello mimico, quello prassico, quello iconico e quello verbale, che sono un po’ delle tappe di questo sviluppo.
L’essenza vera del parlare, come l’essenza del significare, è soprattutto nella possibilità di manifestare un gesto che di per sé può assumere qualsiasi codice; la stessa cosa che fa il pittore: se noi prendiamo dai pittori classici, quelli che disegnavano bene la figura e andiamo agli astrattisti, ai futuristi, ai dadaisti, agli informali, vediamo che ad un bel momento la figura scompare, però non c’è dubbio che è un linguaggio, l’artista si fa un suo codice, un suo stile. L’imitatore quando fa le riproduzioni di quadri fa quello che fa l’afasico quando pronuncia una parola per ripetizione, in questo caso c’è un’imitazione servile di uno stile, anche nel test di disegno c’è una certa differenza tra disegno copiato e disegno creato.
Certamente quanto più è elementare la gesticolazione tanto meno ricco sarà il contenuto simbolico, quanto più è complessa la gesticolazione tanto più ricco sarà il contenuto simbolico; diremo quindi, che uno scultore quando accumula gesti su gesti durante un mese, non fa che arricchire questo contesto e parallelamente all’arricchimento della sua gesticolazione si arricchisce anche il simbolo, cioè la statua.
Come possiamo vedere questa struttura fondamentale del “significare”, cogliere questo momento neuropsicologico nell’afasico?