L’uomo, per Arnold Gehlen (fondatore dell’antropologia filosofica insieme a Max Scheler e Helmuth Plessner), è un essere carente, “disadattato”, ma contemporaneamente è “aperto al mondo” perché la sua plasticità gli permette di reagire in modo sempre diverso e adeguato alle situazioni. Con tali caratteristiche l’uomo è unico nel suo genere ed occupa un posto particolare nel mondo, diverso da tutti gli altri viventi.
L’”azione” è l’unico potente strumento che l’uomo ha a sua disposizione per compensare la carenza biologica di organi specializzati, la mancanza di istinti naturali, la grossa esposizione al rischio della vita per la necessità di una lunga protezione nel primissimo periodo di vita.
L’uomo ha dovuto rielaborare il suo rapporto con la natura per crearsi un mondo più adatto, un mondo artificiale che gli consentisse di sopravvivere, cioè il mondo della “cultura”.
Le possibilità di sopravvivere nell’uomo quindi, vanno ricercate in tutte quelle azioni che hanno una componente “tecnica”, la sola dimensione nella quale egli può sopperire alla sua carenza di istinti; a differenza dell’ animale la sua relazione con l’ambiente non è codificata geneticamente. Gehlen per la sua concezione di “antropobiologia” prende spunto dalla teoria dello sviluppo neotenico dell’uomo, propugnata dall’anatomista olandese Lodewijk Bolk.
Questa teoria è oggi ampiamente sostenuta dal mondo scientifico, come ad esempio dal biologo S. Gould e da esponenti delle neuroscienze cognitive “embodied”o “incarnate” tra i quali V. Gallese.
Lidia Gomato
A.Gehlen – L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo a cura di V.Rasini – Mimesis 2010