FUNZIONALITA’ E FENOMENOLOGIA NEL SOGGETTO PATOLOGICO

corpo vivo e corpo meccanico

Molte delle tematiche sollevate dalla fenomenologia sono state riprese come oggetto di studio dalle scienze cognitive e dalle neuroscienze, alcuni argomenti però, come quelli inerenti all’intenzionalità, alla corporeità e alla creatività, sono rimasti un po’ ai margini.

Dal momento che molti dei modelli riabilitativi proposti protendono per un approccio funzionale, mi è sembrato utile oltre che interessante, rispolverare alcune riflessioni del Prof. Mario Manfredi, neurologo e psichiatra, su un aspetto fondamentale dell’esperienza patologica delle persone con cerebrolesioni acquisite, quella del “sentire il proprio-corpo” che non coincide con l’esperienza di “avere un corpo”, funzionante come una macchina più o meno intelligente.

Il dibattito tra scienze umane, neuroscienze e scienze cognitive è al momento molto fertile, si parla tanto di “complessità” e di “coscienza”, per stare al passo con i tempi ed operare delle scelte responsabili a noi terapeuti spetta il grande compito di acquisire una maggiore consapevolezza di ciò che andiamo proponendo ai nostri pazienti.

tratto dal libro di Mario Manfredi “ L’irrazionale vissuto”(1971) e liberamente modif. da Lidia Gomato

” C’è ragione di credere che il quesito sulla funzionalità, pur se centrale in un tentativo di comprensione complessiva dell’esser malato, non sia decisivo in un’analisi di tipo fenomenologico.

Un fatto che emerge è che comunque la malattia provoca una crisi di intenzionalità, per motivi di reazione al morboso, mutano gli oggetti dell’attività intenzionale oppure si spezza l’unità sensibilità, intelligenza e motilità che M.Merleau-Ponty definisce “arco intenzionale”. La deformazione dell’intenzionalità coincide con la perdita o l’alterazione della facoltà di porsi in situazione, l’essere situazionale si restringe all’ambito degli oggetti che hanno a che fare con la sofferenza e la menomazione. Il malato attua la sua progettazione mondana attraverso la valorizzazione del residuo materiale disponibile, tuttavia la progettazione patologica non è sempre e soltanto l’adeguamento della progettazione al patologico, cioè la scelta delle possibilità che rimangono accessibili. A questa progettazione, condizionata dal restringimento dell’accessibilità del mondano, e posta sotto il segno del riduttivo e del deficitario, se ne affianca un’altra capace di rinvenire nel patologico possibilità positive. Ad un livello più elementare, la progettazione patologica è resa possibile dal fatto che i processi percettivi e attivi anche elementari, a cominciare dai riflessi, non costituiscono la cieca risposta a stimolazioni esterne, ma obbediscono al disegno di “situazionamento” e si inseriscono in quella “veduta pre-oggettivache è lo stesso essere al mondoCosì si spiega come certi contenuti percettivi e certe capacità motorie sono persi anche se non si è ancora perduto il contatto sensoriale , ciò che si è rotto è il contatto vitale con il mondo. Queste osservazioni di M.Merleau-Ponty sono utili al discorso sulla “progettazione patologica” in quanto aiutano a capire che quest’ultima resta in qualche misura indipendente dal potenziale percettivo e motorio effettivamente a disposizione del malato, lo trascende e lo dispone in un disegno di più largo respiro. La trasformazione patologica dell’essere al mondo si specifica come deformazione delle strutture vissute del corporeo, dello spazio e del mondo-ambiente, dell’alterità, della temporalità e del linguaggio. Il soma, come ciò che è primariamente colpito nella patologia fisica, aspira ad occupare tutto lo spazio vissuto”.

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